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Elia Zamboni
Direttore Radio24-"Il Sole 24ore"


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Multimedialità? Per chi la utilizza è già realtà, per chi la costruisce (operatori dell'informazione) non lo è ancora. Il circuito dei media rischia di diventare "corto circuito": a uno strumento antico come la radio il compito di trovare nell'informazione risposte moderne, rivolte a un pubblico che non ascolta più la radio per necessità ma per scelta.

Ogni analisi dell'informazione parte dallo scenario evolutivo, dal contesto della comunicazione. Oggi si parla molto di multimedialità, di integrazione dei mezzi di informazione, anche se questo fenomeno non sempre viene percepito nella sua complessità e soprattutto si colgono le direzioni del suo sviluppo.

Così non ci accorgiamo di una multimedialità che per ora è appannaggio del fruitore, di chi consuma l'informazione mentre non lo è ancora degli operatori dell'informazione. Ognuno di noi legge un giornale, ascolta la radio, guarda la televisione, naviga su Internet, viene raggiunto dalle informazioni sul telefonino, eccetera…. Ognuno di noi è già multimediale nel consumo di informazione, ognuno di noi fa già selezione mediatica in partenza, pesando nella sua edicola mentale ciò che il mezzo può dare. Ma dall'altra parte cosa ci sta? Ci sta un operatore dell'informazione che multimediale non lo è ancora e in molti casi i risultati sono paradossali, con giornali che non tengono conto che la maggior parte delle notizie sono già state anticipate dagli altri mezzi, con programmi radiofonici che sembrano giornali scritti, con programmi televisivi che rinunciando alla valorizzazione delle immagini costruiscono una "radio a colori", con siti Internet che pigliano da un mezzo o dall'altro senza cercare una strada autonoma. Il circuito mediatico rischia così di diventare un … corto circuito.

La multimedialità è strumento, reso possibile dalle tecnologie, per rendere efficace l'informazione che, a sua volta, per essere efficace si deve interrogare sul modo più rapido ed efficiente per raggiungere i destinatari.
Non è scoperta di oggi: gli scambi a distanza di idee e notizie sono sempre stati condizionati dalla velocità dei mezzi per il trasporto o dei supporti in cui erano materializzate o dei corpi in cui erano memorizzate.
Oggi ancora di più i destinatari dell’informazione rappresentano una società mobile. Le definizioni possono essere fin troppo banali, perché la società è mobile per antonomasia (è un cammino continuo) ma è chiaro il ruolo che ha avuto la tecnologia nell'accelerazione di questa mobilità. Pensiamo alle caratteristiche di un fenomeno irreversibile e generale come la globalizzazione. Una parola magari citata a sproposito ma che esprime comunque un processo che non è solo di carattere economico. Qui la tecnologia spinge il mondo verso modelli sempre più uniformi e convergenti, rendendo accessibili a tutti le comunicazioni, i trasporti, i viaggi, i confronti delle idee, delle culture.

La globalizzazione allora diventa una definizione più complessa, perché non esiste solo una globalizzazione dell’economia o dei fatti, ma anche della cultura, delle immagini, dei suoni, della memoria (di quella personale e di quella collettiva).

Di questo fenomeno l'informazione diventa protagonista e non più testimone, perché sempre più frequentemente i media non sono costretti a un puro ruolo di cronisti (la registrazione dei fatti) ma diventano il veicolo di questa globalizzazione.

Essere protagonisti della globalizzazione conferisce ai media anche nuove responsabilità. Qui arriviamo al rovescio della medaglia, perché il problema posto dalla "rivoluzione" dell'informazione è inseparabile dal problema politico posto dalla democrazia. La straordinaria facilità offerta a tutti di trasmettere e ricevere, con una comodità e un'abbondanza senza precedenti, informazioni di ogni genere, tende a fare di ognuno il potenziale titolare di un’enciclopedia esaustiva e aggiornata. Il paradosso della democrazia è che essa, attraverso l'informazione, esaspera l'individualismo e corre il rischio di essere meno liberale rispetto al passato.

È lo stesso paradosso della "democratizzazione" della tecnologia, dimostrato dai tempi decrescenti di affermazione e di sviluppo delle maggiori innovazioni del XX secolo. Quanto tempo hanno impiegato per raggiungere il 25% di market share? L’aeroplano 54 anni, l'automobile 44, il telefono 35, la televisione 26, la radio 22, il personal computer 15 e il telefono cellulare 13, Internet 7 e in questo brevissimo periodo la rete ha già modificato la sua struttura, la sua offerta, le attese con cui è stata accolta.

Per la prima volta l'uomo dispone delle tecnologie necessarie per far circolare le informazioni in tempo reale. Qualsiasi tipo di informazione e in qualsiasi formato: audio, video o testo. Una facilità che, se ben indirizzata, potrebbe mettere i Paesi arretrati nelle condizioni di recuperare rapidamente terreno.

In caso contrario sarebbe difficile parlare di globalizzazione, escludendo in partenza qualche miliardo di persone. Così come sarebbe pericoloso continuare a investire su una visione binaria delle tecnologie (il miglioramento della vita quotidiana e il raggiungimento di profitti più elevati attraverso l'ottimizzazione dei cicli produttivi) dimenticando il terzo elemento che peraltro trova sostenitori sempre più numerosi anche nel dibattito economico internazionale e che è rappresentato dallo sviluppo sostenibile.

Questo utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa prelude alla convergenza? In senso tecnologico probabilmente sì, viste le caratteristiche della "rivoluzione digitale" ma dal punto di vista della fruizione probabilmente no; ogni mezzo conserva intatto il suo fascino anche se non può sottrarsi allo scenario evolutivo dove, magari a sproposito, si sono affermati termini come multimedialità, interattività, ipertestualità. Tutti termini che abbiamo imparato a conoscere e che, nella nostra edicola virtuale, associamo al mezzo ideale della comunicazione ma che, allo stato attuale, non sono mai presenti insieme in un unico mezzo.

Anche Internet, che può rappresentare la sublime ibridazione dei mezzi diversi, forse per questa caratteristica "ibrida" è ancora in uno stadio comunicativo pionieristico.
Internet racchiude ed evoca, magari fuori misura, l'immagine positiva del superamento delle barriere (di tempo, di luogo, di spazio) e della disponibilità collettiva delle conoscenze.

Questo è, in sintesi, l'aspetto più avvincente di Internet: la conoscenza a portata di tutti, a portata di mouse, a portata di click. La conoscenza non è più un monopolio, anche in economia. Il risparmiatore è più informato e responsabile, grazie a Internet; l'azienda conosce meglio i mercati, grazie a Internet. I cittadini possono instaurare un rapporto diretto con chi li amministra; le notizie possono arrivare agli utenti in modo più tempestivo e "allargato" rispetto al modo cui sono stati finora abituati. Gli aspetti di questa "democrazia della rete" potrebbero continuare: quel che è certo è che - quando il processo di alfabetizzazione informatica sarà ancora più evoluto - la maturità dei cittadini e delle imprese (nel complesso e non solo per lo spicchio informatico) avrà fatto ulteriori passi significativi.

Tutti parlano della Rete, non di una rete ma della "grande rete". La rete è un'immagine, una metafora, un contributo a definire ciò che la vista non può definire: una struttura più o meno leggera, caratterizzata dalla presenza di nodi che ne interconnette le aree e indica una potenzialità di legame virtualmente infinita. Una rete serve a catturare ma anche a proteggere, il varco ma anche la barriera, l'accesso ma anche l'ostacolo.

Un primo ostacolo è rappresentato dall'alfabetizzazione informatica, intendendo con questo termine qualcosa di più ampio rispetto alla diffusione statistica dei personal computer o dei collegamenti Internet (anche se non guasterebbe maggior coerenza anche in questa direzione: che fine ha fatto, a esempio, il piano straordinario di informatizzazione delle scuole italiane?). L'alfabetizzazione informatica è qualcosa di più, anche in senso tecnologico dove gli ostacoli sono rappresentati dalla scarsa diffusione della banda larga. Per restare al rapporto tra Internet e informazione, è ancora difficoltosa la coesistenza di formati digitali diversi come i testi, l’audio e le immagini.

Ma l'alfabetizzazione informatica è anche un processo di acculturamento informatico, guardare all'informatica per quello che può dare e per il modo con cui ciò può essere realizzato. Parlando di Internet molte aziende, che avrebbero dovuto per prime scoprire il vantaggio competitivo della comunicazione, hanno della loro presenza in rete una concezione "minimalista": un sito-vetrina per i loro prodotti, un catalogo dei listini, poco spazio al rapporto con la clientela finale, ancora meno spazio a una comunicazione moderna.

La cultura informatica è scarsa anche in chi, per professione, realizza informazione in rete. Non mi riferisco solo alla possibilità, tecnologicamente sempre più realizzabile, di accostare il testo al contesto (attraverso link di analisi, di approfondimento e di documentazione) ma anche alla progettazione di un prodotto editoriale che tenga conto della struttura, delle potenzialità ma anche dei limiti, che il veicolo dell’informazione comporta.

Una delle osservazioni generali più frequenti è che in rete sono disponibili tutte le informazioni che ci sono utili o necessarie. È vero ma è altrettanto vero che, di fronte a questa "overdose", rischiamo il caos. Le informazioni sono così ammucchiate che una ricerca logica diventa impossibile. Difficile è anche la verifica sul grado di aggiornamento delle informazioni, nella maggior parte dei casi abbandonate alla prima scrittura e spesso neppure accompagnate da una data che ne certifichi l'anzianità o il superamento.

Ogni mezzo avrebbe ovviamente bisogno di un'analisi specifica, di fronte alla domanda se rappresenta un interlocutore dinamico per una società mobile. Tralascio gli altri, per riservare alcune note alla radio che sta vivendo una nuova stagione di successo, come dimostrano le rilevazioni Audiradio, che certificano in 35 milioni gli ascoltatori giornalieri e in oltre 42 milioni quelli settimanali.

La radio sta vivendo una stagione diversa rispetto alla storia perché, inserita nel nuovo circuito mediatico, la radio è stata costretta a trovare nuovi spazi, nuovi linguaggi e anche un nuovo pubblico. Non si ascolta più la radio per necessità ma per scelta, la si sceglie in un palinsesto di emittenti che ci porta all'interno della musica, dell'intrattenimento e dell'informazione.

Come risposta a una società dinamica la radio assolve una serie di funzioni: quella connettiva (i suoni e le voci rompono il nostro isolamento, ci lega ai fatti e agli altri in modo flessibile), quella identitaria (la radio ci aiuta a riconoscerci in quella tribù o in quella nicchia che abbiamo scelto o nella quale siamo costretti) e quella partecipativa (una "radio di servizio" non è solo quella che ci informa sulla viabilità, sul meteo o sulle quotazioni di borsa, è soprattutto quella che diventa strumento di partecipazione attiva alla società).

Se riuscirà a ben coniugare queste tre funzioni, la radio sopravviverà alle tecnologie e a Internet, valorizzando la forza e la suggestione della voce, la tempestività, l'essere presente con noi nei fatti.

Anzi, proprio nelle tecnologie la radio trova nuove forme di vitalità: il telefono e il microfono sono un formidabile e semplice binomio per fare ottima informazione in radio; la rete Internet, dal canto suo, ha conquistato prepotentemente un ruolo di "fonte primaria", quanto meno pari alle agenzie. Ma Internet, per la radio, è qualcosa di più perché fa parte integrante di qualsiasi moderno modello radiofonico.

In questo ambito i contributi che possono essere offerti da Internet sono molteplici:
- consente l'ascolto della radio anche in ambienti diversi dall'auto o dalla casa o dove la copertura delle frequenze non lo consentirebbe
- rende possibile la creazione di un archivio digitale, costruito con il riascolto organizzato delle trasmissioni (funzione, questa, particolarmente utile e apprezzata in una radio di informazione, soprattutto se punta sull'informazione di servizio)
- arricchisce l'informazione attraverso approfondimenti, documenti e analisi che allargano la conoscenza per i contenuti già in onda
- sviluppa l'interattività, con la possibilità di rendere "aperta" la radio agli ascoltatori, raccogliendone interventi, indicazione di argomenti preferiti e partecipazione ai confronti sui temi di attualità.

La radio riuscirà a sopravvivere se riuscirà anche a essere una vera impresa economica: la funzione sociale della comunicazione non ha valore economica ma nessun imprenditore, proprio perché imprenditore, può assolvere a questa funzione con costi economici socialmente non riconosciuti. Ogni impresa radiofonica deve quindi trovare validi ragioni economiche d’impresa per poter garantire al meglio la comunicazione.

Le più elementari ragioni d'impresa stanno nell'organizzazione (il progetto, la sostenibilità economica dell'impresa e l'attenzione ai ricavi, la pianificazione, la produzione, la trasmissione e la diffusione) ma quella più vera è la costruzione di una vera e propria "catena del valore" che inserisca i suoi singoli momenti e che consenta alla fine risultati economici tali da garantire contenuti di qualità.



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